GIORNI ALL'83° ANNIVERSARIO DELL'AFFONDAMENTO DEL NOVA SCOTIA - 28 NOVEMBRE 1942 / 28 NOVEMBRE 2025
I FATTI
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28 novembre 1942
La mattina presto di quel giorno la Nova Scotia stava transitando al largo della costa del Natal, e per sera avrebbe avvistato la città di Durban, dalla quale distava circa 244 chilometri. Procedeva prudentemente a zig-zag per il fatto che era stata segnalata, in quelle acque, la presenza di sommergibili tedeschi.
Ed infatti l’U-Boat 177 tedesco, comandato dal capitano di corvetta Robert Gysae, avvistandola al proprio periscopio si propose di intercettala, probabilmente credendola un cargo mercantile, per affondarla.
Robert Gysae L'U-Boot 177
Il sommergibile lanciò tre siluri alla distanza di 380 metri, due dei quali andarono a segno. Qualche secondo dopo con boato tremendo sul lato sinistro della nave si aprì una voragine, sotto il pelo dell’acqua, all’altezza delle macchine. Erano le 7.07. La tragedia ebbe inizio. Le fiamme dalle stive si propagarono nei corridoi, nei boccaporti, sui ponti di prua. Le esplosioni si susseguivano. La gente, terrorizzata, correva impazzita senza meta. Morti e feriti ovunque. Grida, imprecazioni, ed invocazioni di aiuto si sovrapponevano.
Era il si salvi chi può. La nave con la fiancata squarciata cominciò ad inabissarsi di prua. Fu dato l’ordine di abbandonare la nave. Furono freneticamente scese in mare grosse zattere, ferendo ed uccidendo altri disgraziati. Molti riuscirono così ad allontanarsi dal piroscafo che affondava. Dopo appena sette minuti la poppa della nave luccicava al sole, fortemente inclinata, inabissandosi di prua, con altri poveretti che si ammassavano senza speranza sul ponte poppiero, attendendo la fine. Nel mare reso oleoso dalla nafta fuoriuscita dai serbatoi della nave, si dibattevano i superstiti, aggrappati a qualsiasi cosa li potesse sostenere. Ancora pochi secondi ed il piroscafo si inabissò per sempre.
Foto dell'affondamento scattate dall'U-Boot 177
Il comandante tedesco diede l’ordine di emergere e con stupore si accorse della moltitudine di naufraghi che chiedevano aiuto tra i flutti ed allora colse l’evidenza di non aver colpito un cargo ma una nave passeggeri. Comprese anche che molti di loro erano italiani. Riuscì a far salire, sul sommergibile, due di loro e sentendo, in quel momento, la necessità di giustificarsi per quanto aveva fatto, ribadì di aver creduto di colpire una nave inglese e non una nave piena di prigionieri suoi alleati. Immediatamente quindi, contrariamente a quanto disponevano gli ordini della marina tedesca in quei frangenti, lanciò un dispaccio radio a Berlino perché invitasse forze navali neutrali presenti in zona (portoghesi) a soccorrere i naufraghi. Poi diede l’ordine di allontanarsi (l’U-Boat 177 finirà la sua missione il 6 febbraio 1944, colpito da bombe di profondità da un aereo USA; morirono 50 membri dell’equipaggio e 15 furono i sopravvissuti).
Il mare era pieno dei resti del naufragio: casse, travi, derrate alimentari, e cadaveri tragicamente mutilati dalle esplosioni e dal fuoco. Fra tanta rovina galleggiavano quattro grandi zatteroni colmi di superstiti e una moltitudine di uomini immersi nell’oceano, con la testa a pelo d’acqua, aggrappati a qualsiasi cosa. Tutti erano unti di nafta, che bruciava loro gli occhi, che li induceva al vomito continuo ed estenuante.
Piano piano il moto ondoso allontanò gli uni dagli altri disseminandoli nell’immensità dell’oceano. Il mare era tranquillo e la giornata volse a sera rapidamente. Scesa la notte, improvvisamente il mare si fece grosso aumentando sempre più i marosi. I naufraghi aggrappati alle loro zattere con la forza della disperazione, erano violentemente costretti dal moto del mare a salire e scendere, investiti da onde poderose, che facevano perdere la presa ai più deboli ed ai più stanchi, mietendo di conseguenza ancora molte altre vittime. Continuò così per tutta la notte del 28 e per l’intero giorno successivo senza che alcun soccorso si facesse avanti, facendo scomparire tra i flutti altri poveretti.
Intanto alla richiesta di aiuto sollecitata dal comandante dell’U-Boat tedesco rispose il cacciatorpediniere portoghese Afonso de Albuquerque, al comando del capitano Josè Augusto Guereiro De Brito.
Il capitano si adoperò immediatamente per giungere al più presto sul luogo del disastro, dando la posizione anche ad una nave da guerra britannica che però proseguì imperterrita sulla sua rotta.
Il 30 novembre, alle 5,45 della mattina, finalmente, i naufraghi furono avvistati e cominciò la frenetica ricerca dei superstiti che si prolungò per tutta la notte.
Riuscirono a far salire sul cacciatorpediniere portoghese 117 italiani e 64 fra sudafricani ed inglesi. In tutto, quindi, furono 181 i superstiti dei 1200 di partenza; 651 furono i nostri connazionali spariti nell’oceano. E’ stato stimato che almeno un quarto degli scomparsi siano stati divorati dagli squali. Il recupero dei naufraghi evidenziò anche, a dire del capitano portoghese, il fatto che nella tragedia lo spirito di sopravvivenza fece sì che i naufraghi lottarono fra di loro per riunirsi sulle zattere secondo la loro nazionalità, che continuò anche una volta che erano saliti a bordo sani e salvi.
Il cacciatorpediniere Afonso de Albuquerque, carico dei superstiti, attraccò nel porto della città di Lourenco Marquez (ora Maputo) nel Mozambico portoghese dove il comandante, nonostante le pressioni del comando britannico, tratterrà i reduci italiani che saranno curati negli ospedali di quella città neutrale, mentre i soldati inglesi e boeri saranno avviati verso il Sudafrica.
I nostri naufraghi saranno peraltro aiutati in maniera significativa anche dal locale Vice Consolato d’Italia. Alcuni di loro, avranno così l’aiuto indispensabile per ottenere il rimpatrio, superando tutte le difficoltà contingenti. Molti altri si sono integrati nella nuova situazione trovando anche la possibilità di lavorare.
Sulla costa del Natal e precisamente sulle spiagge di Zinkwazi, il mare restituì i corpi straziati di almeno 120 annegati che pietosamente furono raccolti e posti in tre fosse comuni del cimitero per prigionieri di guerra in località Hillary di Porto Durban, Sudafrica. Assieme a loro furono sepolti nello stesso cimitero gli altri superstiti deceduti successivamente per malattia a Zonderwater, il grande campo della città o nei campi esterni.
Nel 1982, a cura dei superstiti viventi dell’affondamento della Nova Scotia, che vivevano ancora nel Mozambico, è stata donata una nuova grande tomba comune di forma circolare sormontata da una stele con una colonna spezzata, che riporta una iscrizione in italiano ed inglese che dice: alla memoria dei figli dell’Italia che sono periti nell’affondamento della SS Nova Scozia XXVIII-XIMCMXLII.
Nel tempo sono stati riesumati i resti di altri superstiti della tragedia sepolti in altri luoghi per riunirli nella nuova tomba comune di Hillary.
Nel luglio del 2008 furono traslati dal cimitero di Hillary-Durban, a Pietermaritzburg, sul terreno retrostante la chiesa "Madonna delle Grazie" i resti dei corpi recuperati dopo l'affondamento del piroscafo Nova Scotia.
L'esumazione e la traslazione da Hillary a Pietermaritzburg sono avvenute per opera dell'Ing. Emilio Coccia e del G.U. Franco Muraro sotto la supervisione di Onorcaduti.
In Eritrea, inciso sulle lapidi all’interno della chiesa di Santa Rita di Adi Quala si trova l’elenco delle vittime italiane perite nell’affondamento della nave Nova Scotia.
IL NOSTRO DOSSIER COMPLETO E AGGIORNATO (2024) SULL'AFFONDAMENTO
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in collaborazione con:
Pietermaritzburg
MATTARELLA RICORDA IL "NOVA SCOTIA"
VIDEO IN INGLESE SUL NAUFRAGIO
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